Sacre Icone Aurel (Umile servo di Dio)

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L'Icona






Giudizio Universale
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L’ICONA


Lungo i secoli, con generazioni di fedeli e la presenza dei padri della chiesa si è formato un canone iconografico ancora oggi custodito dalla coscienza e dalla verità. L’ icona si è riempita delle ardenti preghiere, delle suppliche, delle speranze di milioni e milioni di fedeli, e così è diventata spazio d'incontro fra gli uomini e Dio.
Gli isografi non ignorano niente della tecnica, ma non condizionano mai ad essa la propria arte.
Al posto della visione doppia mediante gli occhi carnali ( che segue il punto di vista dello spazio decaduto ) si sostituisce l’occhio del cuore, dello spazio spirituale, il quale si estende all’infinito. La prospettiva rovesciata ha proprio il suo punto di partenza nel cuore di chi la contempla.
L’ immobilità esterna delle figure è molto paradossale perché lascia l’impressione che qualcosa si muove all’interno. Il piano materiale sembra essere tutto concentrato nell’attesa di un messaggio, lo sguardo tradisce la tensione delle energie vitali.
L’ icona è l’equilibrio tra l’antropocentrismo e l’idealismo irreale (pietà). Essa non eccita i sensi, è una finestra, non una porta, perché non ci conduce fuori da dove siamo, ma  permette a noi stessi di guardarci in una luce differente, che viene da un regno al di là del mondo. É anche un fenomeno integratore, non solo di spirito e corpo, spirituale o materiale o diversi aspetti della coscienza, è una catarsi intima d'illuminazione spirituale.
Dunque l’icona rappresenta l’integrazione della natura umana e fa appello ad una visione completa della vita.
Le caratteristiche umane sono mostrate e non nascoste: le  ginocchia, i capelli, le ossa della faccia, le dita delle mani e dei piedi, ma tutti questi tratti da soli non costituiscono l’uomo. L’ uomo è la scintilla del soffio di Dio che riempie il cuore con la compassione e con l’amore; il potere di Dio che incoraggia il sé a rinunciare all’ego e alle miserie dell’orgoglio.
L’ arte sacra non imita il mondo visibile, materiale; tanto meno è occasione per esibire sentimenti o giudizi personali dell’isografo, esiste però rendere visibili gli archetipi trascendenti che altrimenti resterebbero senza espressione.
Essa rivela le realtà assolute che si celano dietro il mostrarsi evanescente delle apparenze naturali.
L’isografo  non inventa le sue forme e composizioni fondamentali, le eredita come appartenenti al prototipo. Questo non significa che l’isografo è inibito o represso, anzi, la libertà d'espressione entro i limiti della forma canonica, la varietà inventiva del colore, ritmo e costituzione spaziale nell’arte bizantina è molto più libera che nelle scuole di pittura realistica e illusionistica, le quali invece legano l’artista alle apparenze naturali.
La libertà nell’arte bizantina è stata maggiore di quella occidentale fino al cubismo e all’astrattismo, che però si sono conquistati la loro libertà al prezzo della distruzione delle forme, laddove l’arte sacra cristiana si era dedicata all'intensificazione delle forme.
“ L’icona è per gli analfabeti ciò che la Bibbia è per le persone istruite; ciò che la parola è per l’orecchio, l’icona lo è per la vista” ... era questa una delle affermazioni di un grande difensore delle immagini, S. Giovanni Damasceno. Questo, però, è solo un piccolo gradino nell’infinita ascesa verso la dimensione del sacro e del divino. Il culto delle immagini incarna il trionfo dell’ortodossia: Nicea II commemora Nicea I e la vittoria sull’eresia iconoclasta, è una vittoria sulle eresie cristologiche precedenti. L’ icona non è illustrazione o decorazione per le chiese o ambienti domestici, ma teosofia speculativa, e una visione teologica, è una visione basata sulla conoscenza divina. Visione dell’invisibile, dell’infinito aperto sull’infinito.
Non dovremmo presumere, in ogni caso, che l’ icona abbia lo stesso senso e la stessa attrazione su ogni persona che la contempla. Dio stesso non evoca la stessa realtà per ciascuno, né il Cristo, né il Cristianesimo, né la dottrina, e le tradizioni cristiane.
La verità del Cristianesimo è un’esperienza di Dio come essere personale, dove “ essere “ significa vita e “ vita “ significa comunione. L’ icona, come tutto l’evento della fede, è un’espressione di libertà, e questa libertà è espressa da persone che affermano liberamente queste qualità ad altri. In realtà la nozione e l’avvenimento dell’icona sacra richiamano la realizzazione dell’arte che originariamente era arte sacra. La secolarizzazione dell’arte e la sua autonomia sono il risultato della tensione e del conflitto tra arte e religione dunque della disintegrazione della loro verità profonda; questo non è lo stato normativo dell’arte. Poco importa che si creda o no, perché l’arte è un’espressione del sacro inerente all’arte. Dio è l’unico artista delle immagini.
L’uomo è stato fatto a immagine e somiglianza di Dio, la nozione d’icona prende consistenza propria e diventa la definizione dell’uomo stesso: “l’uomo è l’essere fatto come icona di Dio”. Quale altra nozione può definire meglio l’uomo se non quella di icona senza la quale non vi è percezione o definizione dell’uomo stesso. L’icona è il luogo più intimo ed idoneo, un legame intrinseco fra Dio e uomo, infatti fu proprio l’immagine di Dio esteriorizzata e riconosciuta in sé stessa e comunicata che ha fatto scaturire l’idea dell’uomo.
L’ immagine dell’uomo con tutta la sua caduta, non è stata distrutta né dal peccato né da Dio, ciò che indica un senso d'indistruttibilità; lasciati cadere nell’oblio, sia l’icona che l’uomo diventano un oggetto.
Il concilio Niceno II ha difeso l’umanità dell’uomo, la sua origine sacra e la sua affinità con Dio, e insieme il carattere sacro dell’icona. In effetti pur nato dalla terra egli è stato onorato mediante l’icona di Dio.
Se l’uomo comincia a definire Dio per sé stesso, il suo ragionamento non può essere che un fallimento, per questo l'uomo deve scoprire l’immagine di Dio che è in lui:



DIO PUÓ ESSERE DESCRITTO NELL’UOMO, NON DALL’UOMO

A commento dell’ammonimento dell’Apostolo Matteo ai cristiani romani “non conformatevi a questo secolo”, Pavel Florenskij invoca d’abbandonare gli schemi comuni “la legge generale dell’esistenza”  propria del mondo presente nella sua attuale condizione: “Trasformatevi” ovvero rinnovatevi, modificate l’immagine dell’esistenza, la forma operante. Parrebbe contraddittorio rammentare questo passo a commento di un’arte tradizionale così fedele, così conforme agli originali e spiritualmente fondante quale quella isografa che si vuole abbia il suo archetipo in un’unica icona protorivelata. Ma del tutto vani sarebbero gli sforzi del pittore di icone – che correrebbe il rischio di smarrirsi, fra trattini e pennellate, in una meccanica, servile ricopiatura – se non fossero dettati, non solo da una esperienza contemplativa individuale, ma dalla necessità di agire salvificamente nel mondo.
L’isografo non firma le varie immagini per non “offenderlo specchio dell’archetipo”, l’ispirazione viene dallo Spirito Santo, e la personalità dell’artista deve dileguarsi davanti al personaggio rappresentato, così come San Giovanni Battista disse: “Egli deve crescere, io, invece, diminuire”.
In una recente pubblicazione, il cardinale Ratzinger afferma: “Senza fede non c’è arte adeguata alla liturgia. L’arte sacra si trova sotto l’imperativo della seconda lettera ai Corinzi: “guardando a Cristo, noi veniamo trasformati nella sua immagine, di gloria in gloria, mediante lo Spirito del Signore. (2Cor 3, 18)”.
Innumerevoli richiami e messaggi dalle autorità ecclesiali, il Santo Padre che, convinto di un crescente  bisogno, del “linguaggio spirituale dell’arte autenticamente cristiana”, suffragato da un recupero di interesse per la teologia e la spiritualità delle icone, chiede ai vescovi di tutto il mondo “di mantenere fermamente l’uso di proporre nelle chiese, alla venerazione dei fedeli, delle immagini sacre”, ad impegnarsi perché sorgano più opere di qualità veramente ecclesiale.
Un isografo ha ben presente le regole lasciate dai Padri, e non solo, ma sa di avere da rispettare anche un canone interno. Esso diviene criterio di valutazione del canone esteriore, in quanto preserva dall’eclettismo, crea, un’antinomia come ogni verità religiosa ed è l’ascesi interiore dell’obbedienza. L’atto creativo non è l’eliminazione dell’antinomia, ma il mantenimento e addirittura il rafforzamento della tensione antinomica, la sua estensione alla vita intera. La creatività diventa ascesi, è per l’artista dell’arte claustrale l’ascesi della fede. L’ascesi è il fondamento della sintesi tra la vita e la creatività. È l’autenticità del simbolismo della sua scrittura. Il carattere taumaturgico dei simboli nasce nell’intensa antinomia della religiosa “ascesi dell’obbedienza” dove l’isografo non sa egli stesso dov’è il limite che separa il suo limite dalla sua sottomissione. A questa condizione l’isografo diventa teurgo, le icone teurgiche precedono e ispirano la sua vita (al contrario dell’estetismo, che lascia solo l’esperienza psicologica). Del resto sono in migliaia a pregare davanti ad un’icona miracolosa, ma la guarigione è donata solo a pochi in relazione alla loro fede nell’ontologismo che sta avvenendo. Una fede debole o assente riduce la rivelazione ad un livello psicologico o estetico. All’isografo non serve un’esteta, ma un credente che contempli l’icona in atteggiamento di preghiera.
In una “creatività” di questo genere il simbolo si distingue dalla sostanza, si limita a simboleggiarla, ma al tempo stesso attraverso l’energia è partecipe della sostanza, rivelandosi come finestra attraverso la quale nel nostro mondo immanente irrompe l’energia emanata dalla sostanza.
Il dogma della consustanzialità è il fondamento della conoscenza ontologica, iconica, del simbolo come sostanza individuale, unione individuale di divino e umano.
Malgrado le tendenze d'oggi di presentare la vita umana, la personalità in chiave utilitaristica dal punto di vista della socialità o della biologia, l’icona continuerà a testimoniare la partecipazione dell’uomo alla bellezza divina.
Pertanto, quando Dio, con la volontà, l’amore e la libertà, diviene lui stesso uomo nel suo logos e prende carne nella sua creatura ( la sua propria immagine ) allora può essere visto, compreso e dipinto dall’uomo in forma umana. Se Dio - parola che uno della Santa Trinità, glorificato col Padre e con lo Spirito Santo non può essere dipinto dopo l’incarnazione stessa, allora l’incarnazione stessa non ha più senso. E se l’incarnazione non ha più senso, l’esperienza cristiana non ha più fondamento: è per questo che un dibattito cristiano sulle icone è una contraddizione nei termini.
L’ icona autorizza i cristiani di tutti i tempi a domandarsi se il cristianesimo ha voluto essere un’ideologia confortante o privata, oppure un martyrion ( testimonianza ); questa testimonianza deve essere abbastanza forte per riconoscere che l'evento di Cristo è “ scandalo per i giudei, stoltezza per i pagani “, abbastanza ricettivo per provare che

LA FOLLIA DI DIO E’ PIÚ SAPIENTE DELLA SAPIENZA DEGLI UOMINI.

Aurel Ionescu - isografo







 
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